di Roberto Di Caro
Pacato, amabile, disponibile, ma non è che le ha mandate a dire, Virginio Merola, invitato martedì 10 maggio al salotto “di resistenza culturale” di Patrizia Finucci Gallo a raccontare cinque anni vissuti pericolosamente come sindaco di Bologna. Il sassolino che si vorrebbe togliere, al termine del suo primo mandato e in lizza favorito per il secondo, forse già al turno del 5 giugno senza ballottaggio? «Di sicuro l’andar per ministeri e sentirsi dire cose che non stanno né in cielo né in terra». Esempio? «“Ma lei non ce l’ha un “facilitatore” che gira per tutti i piani da una porta all’altra?” Oppure, quando incontri Marianna Madìa», che nel governo Renzi sarebbe il ministro alla Semplificazione e alla Pubblica amministrazione, «e ti rendi conto che non sa che cos’è la pubblica amministrazione». Non che la Regione, governata dal suo stesso Pd, sia da meno: «Ha presentato una bozza di legge di semplificazione, peccato che sia lunga 500 pagine…». Quanto al vertice della Fondazione Carisbo, «un gruppo di soci a vita cooptati da altri soci a vita decidono fra loro chi deve stare nel Consiglio di indirizzo e soprattutto quali finanziamenti erogare. Cosa conto di fare? Dargli addosso fino a quando non cambiano idea…».
A la guerre comme à la guerre, cosa ti vuoi aspettare da un appassionato collezionista di soldatini, con una predilezione per l’epoca napoleonica? Sì, Virginio Merola li tiene esposti nel suo ufficio a Palazzo d’Accursio: «Se», racconta, «dall’età di cinque anni fino a quando può farlo tuo padre sottufficiale di Polizia ti regala solo armi da guerra, e gli zii stanno in Marina, Esercito, agenti di custodia componendo in famiglia tutto lo spettro possibile dei sottufficiali meridionali, se da piccolo anziché con un nomignolo ti chiamano “il Capitano”, e poi visto che ti piace la montagna ti ritrovi unico bolognese a fare il militare negli alpini, come fa a non venirti la passione?». Effetti sulla personalità? «Beh, quand’ero presidente del quartiere Savena abbiamo inventato la Scuola di Pace»: pari pari come in quel raccontino del “Diario minimo” in cui Eco elenca per tre pagine tutte le armi che regalerà a suo figlio appena nascerà, così da esser certo che da grande diventerà pacifista. Esperto di strategia, però: ribaltando Clausewitz, non è forse la politica la continuazione della guerra con altri mezzi? «No, non ho mai applicato strategie militari in politica, la mia passione rimane un divertimento, un gioco». La prenderemo per buona.
Al salotto, in quasi due ore di domande degli intervistatori e del pubblico, sono stati passati al setaccio pressoché tutti i temi caldi che coinvolgono il primo cittadino e la sua giunta: welfare, servizi, trasporti, parcheggi, pedonalizzazioni, sicurezza, nuovi quartieri, città metropolitana, teatri, prossime mutazioni prodotte da operazioni in fieri come la Cittadella della moda e la gigantesca Fico Eataly World al Pilastro. Se ne dà conto oggi, 12 maggio, negli articoli di Luca Orsi sul “Resto del Carlino” e di Enrico Miele su “la Repubblica”.
Una nota finale, domanda della padrona di casa, sul look del primo cittadino in campagna elettorale, nota frivola ma poi mica tanto, considerando quanto conta l’immagine nella politica d’oggidì: «Sceglie tutto mia moglie, lei decide colori, cravatte, abbinamenti, cos’è vecchio e da buttare e cosa invece devo indossare».